Serena Delli Carpini – La Cama

“Prima che le luci dell’alba giungessero a spezzare le ultime ombre della notte i contadini erano già nei campi, e come soldati schierati in prima linea, armati di falci, andavano all’assalto della trincea dalla quale dipendeva la loro vita e quella di tutto il popolo: aveva inizio così il meraviglioso rito della mietitura. Gli uomini, chini in quel dorato mare di spighe, non si vedevano nemmeno: come fossero stati inghiottiti da quella massa alta ed estesa i cui confini sembravano infiniti”

- LIBORIO GUCCIONE

Il progetto della scultura abitabile per la rotonda di Monte Romano muove da una valutazione della regione geografica di destinazione, la Maremma. La ricca zona agricola che oggi si può apprezzare, dai peculiari connotati culturali e tradizioni popolari è il risultato di un’opera di bonifica dei terreni acquitrinosi, resa possibile dalla tempra degli uomini del luogo.

La tradizione rurale in cui la campagna fa da tessuto connettivo della vita economica e sociale costituisce l’ossatura morale di molte aree dell’Italia agreste, della quale fa parte anche la Terra di Lavoro, mia regione di provenienza.

Terre di comunità rurali, piccole o grandi che siano, che fondano le proprie radici nella coltivazione e lavorazione del grano, nei cui processi lo snodo finale è il mulino, in cui ogni famiglia, a cadenza stagionale, portava il proprio grano per essere macinato (un mulino per tutti).

Se la casa rappresenta la prima e immediata vittoria dell’uomo, dettata dalla necessità di un riparo, garante della sua stessa sopravvivenza e trasformazione, il mulino è testimonianza tangibile delle qualità raziocinanti dell’uomo ed assume il valore di documento nella storia della civiltà umana; rappresenta il legame vivente fra la terra e l’uomo che la coltiva.

La stessa terra diventa fattore determinante che ne influenza la forma e le caratteristiche: difatti il mulino sfrutta la potenza dell’acqua per mettere in moto la ruota, che a sua volta mette in moto la macina, che frantuma il grano fino a trasformarlo in farina. Anche con l’avvento della colonizzazione industriale e la conseguente cancellazione degli insediamenti rurali, il mulino, in quanto prodotto dello spirito umano, rimane una cosa vivente, vi è nella sua aria una dignità generale che armonizza con la gloria del paesaggio circostante. È ai sui elementi base che il progetto si ispira: la ruota, l’acqua e la macina.

La casa scultura ha una pianta circolare con un pilastro centrale costituito da un tronco d’albero. La forma cilindrica della struttura rimanda alla forma primitiva del pagliaio, che non era altro che un palo attorno al quale veniva impilato il fieno.
Dal tronco partono dei raggi che delimitano sezioni di piano discendenti e che fanno sì che la struttura, dall’alto, appaia come una ruota e che, dal basso, appaia diversa, non statica, in base a dove la si guarda. Lo scheletro della struttura è in acciaio, che verrà rivestito, in corrispondenza dei raggi, con tronchi di legno. Se le pareti esterne sono in vetro l’interno non ne ha, ad eccezione di quelle del bagno e della camera da letto, atte a garantire la necessaria privacy insita, per me, nel concetto di abitabile. Il materiale usato per le pareti è il cemento bianco; si trovano arretrate rispetto alle pareti esterne in vetro, in modo da non configurarsi come interruzione nel cammino ottico dell’osservatore.

Il vetro rende labile il confine tra la natura e la casa, non è casa l’ambiente che ci circonda? Grazie ad esso la percezione della costruzione muta con l’ambiente, con il trascorrere dei giorni, delle stagioni e degli anni.

La struttura ha un andamento a spirale diretta verso il basso e sul tetto, caratterizzato da un vetro specchiato, scorre dell’acqua che, seguendo l’andamento della superficie, termina il suo percorso attraversando una struttura in titanio, posta alla fine dell’ultimo raggio, che ricorda la ruota esterna dei mulini. Il flusso d’acqua termina su una macina, che, grazie ad un motore, compie un movimento rotatorio su sé stessa simulando il movimento delle macine dei mulini. Essendo, posizionata in una vasca di raccolta, l’acqua, attraverso un sistema di pompe, verrà riportata sulla sommità della struttura.

Sulla macina è incisa una canzone popolare, eco di una cultura passata in cui i canti di lavoro oltre a scandire i tempi e la coordinazione dei lavoratori, svolgevano un lavoro psicologico di sollievo, solidarietà ed esortazione fra i compagni.

In questa casa la macina rappresenta, come nel mulino, il momento culminate di un impianto armonioso, la chiave di lettura che completa la struttura ed esplica l’ispirazione, l’idea e la genesi del concetto. La struttura, in sé semplice, vuole onorare la fantasia dell’uomo che mai ha creato senza uno scopo e senza una ragione logica quelle forme tanto sorprendenti.

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